Il testo che segue cerca di illustrare i motivi e le genealogie che ispirano il lavoro di Urban Fields presentando le azioni con cui si contraddistingue. Per la maggior parte sono interventi di appropriazione spontanea dello spazio pubblico che oscillano tra l’installazione temporanea e l’evento. Molto spesso si tratta di microtrasformazioni del contesto urbano che possono avvenire attraverso performance, happenings, installazioni pop-up, ready made, coinvolgendo comunità in momenti di socialità e partecipazione, oppure in playground di espressione ludica.
L’obiettivo di queste azioni è quello di esplorare e far emergere le potenzialità inespresse dei territori metropolitani problematici, controversi, marginali (ma non necessariamente periferici), oppure negletti, rimossi dalla coscienza collettiva.
Riattivare questi spazi, farli tornare alla luce attraverso gesti semplici, significa testimoniare la convinzione che lo spazio pubblico (per estensione tutto ciò che riguarda la dimensione pubblica, comune, sia in senso sociale che fisico) possa essere una opportunità per tutti, una occasione per esprimere consenso o dissenso, o semplicemente un punto di vista, una convinzione, oppure per sperimentare con progetti più complessi le ambizioni collettive, o quelle personali, più intime, innocenti.
È noto l’aneddoto di Bruno Munari su questo argomento:
“Se chiedi ad un bambino giapponese a chi appartiene il giardino pubblico fuori di casa, ti risponderà che è di tutti. Se lo chiedi ad un bambino italiano ti risponderà che non è di nessuno”
Urban Fields si presenta con questo testo:
Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Per lo più eseguiti manipolando oggetti che connotano la nostra quotidianità. Lo spazio che ci circonda trasfigura. C’è una intenzionalità che rivela ciò che non era mai apparso prima: la forma del sole, lo spessore dell’aria, la relazione tra le cose, le storie dell’anima. Paradossali, surreali, spontanei. Trasformazioni che durano il guitto di un raggio di sole riflesso da uno specchietto sulla facciata di un edificio, o il lancio di un sassolino dentro la casella di una campana disegnata a terra. Altalene che dondolano ritmicamente come codice morse visuale. Un paesaggio nomade di soffi di vento imprigionati in capsule trasparenti. Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Atti liberatori. Che svaniscono nel momento in cui si compiono. E tutti questi momenti andranno persi nel tempo come lacrime nella pioggia…
Non viene espresso un programma, un manifesto, una intenzione artistica in senso stretto. L’appropriazione di spazi e contesti per esprimere una propria visione del mondo, qualsiasi forma essa assuma, collettiva o personale, è una sorta di gesto estetico primitivo, un atto fondativo, di definizione dello spazio vitale, un segnale lasciato nel “paesaggio” metropolitano dell’abbandono, del rimosso.
Le azioni di Urban Fields sono il risultato di un sentimento di inadeguatezza. Esattamente come Monsieur Hulot, ci aggiriamo per la città cercando di trovare sollievo dall’incomprensibile razionalità funzionalista che ci circonda. Con gesti minimi, semplici, a volte liberatori seppure “fuori luogo”, decontestualizzati.
Urban Fields non è un collettivo, non è un gruppo stabile, non ha una sede precisa, non ha un manifesto: solo il desiderio di sperimentare valori civici e di solidarietà di cui ci troviamo ad essere deprivati dall’anestesia consumistica. E’ un network di creativi con vari interessi, una sorta di comunità liquida che si aggrega e contribuisce a seconda dell’occasione.
Il nome significa “Campi Urbani” ed è un omaggio all’evento durato un giorno chiamato Campo Urbano, organizzato da Luciano Caramel insieme a Bruno Munari il 21 Settembre 1969 a Como. Come verrà raccontato più dettagliatamente di seguito, un evento peculiare: per la prima volta creativi provenienti da diverse discipline si confrontano in una dimensione sociale, urbana con mezzi espressivi analoghi e l’attenzione non è più sull’opera, ma sui processi, sulle relazioni, sul campo di azione.
La rete degli innumerevoli debiti concettuali, di metodo, di azione, viene consegnata all’apparato delle annotazioni, immagini e citazioni, che costituiscono una filigrana di senso sovrapponibile al testo principale. In particolare sentinelle assolute del viaggio mentale di Urban Fields sono: la riflessione sull’ovvio, il banale, il quotidiano, che ci consegna Georges Perec con il concetto di infraordinario e il ready made urbano della prima e unica escursione dadaista, che da valore più che ad un’opera fisica, ad un vuoto, ad una assenza, da riempire con una azione, un gesto simbolico.
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Leggi l’intero libro “Campi Urbani. Azioni, performances, happenings, installazioni di Urban Fields nella dimensione pubblica e sociale” su issuu.com
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