Attraverso la presentazione di ventiquattro esperienze didattiche, intendiamo illustrare le competenze base della progettazione con l’ambizione di rispondere a due domande semplici ma impegnative: quali competenze dovrà possedere il progettista del futuro? E come si insegnano? La natura dei workshop presentati è sperimentale ed inclusiva. Sperimentale perché lasciano grande spazio all’imprevisto, all’errore, all’imperfezione e all’anomalia. L’incertezza del risultato ha reso vitale i processi esplorativi ed ha animato l’immaginazione di ognuno, che con emozione si è sorpreso di risultati inaspettati. Inclusiva perché, come si sa, le differenze sono ricchezze e coniugare i punti di vista alternativi o irregolari, e anche gli esiti inconsueti, dentro processi collettivi e collaborativi, ha esaltato le potenzialità delle intelligenze peculiari di ciascuno, rendendo le esperienze più varie, consistenti e solidali.
Nelle molteplici e talvolta controverse vesti di progettisti, creativi e educatori, abbiamo sentito la necessità di raccogliere in una collezione alcune esperienze ludiche, ricreative e didattiche, svolte coinvolgendo gruppi di bambini e ragazzi dai 6 ai 13 anni nelle più confortevoli e libere vesti di esploratori curiosi.
Decidere di sistematizzare le nostre scelte, seppure in maniera vaga e frammentaria, e tentare di comunicarle nella forma del libro, ci ha permesso di capire quanto l’innocenza di queste domande abbia risvolti molto impegnativi nella pratica quotidiana. Infatti, ci impongono di mettere a nudo la nostra visione sul mondo, la nostra interpretazione sulla contemporaneità, cioè su tutto quello che ci accade intorno, e dentro cui operiamo le nostre scelte. A volte ci alimentiamo di tutte le contraddizioni del presente, altre volte reagiamo alle sue aporie, volendo produrre senso con la nostra azione, appunto, di uomini, cittadini, progettisti e educatori. Mettere al vaglio e al giudizio la nostra operazione chiarificatoria ed esemplificatoria, esaltata da decisioni soggettive e tendenziose, riteniamo sia un atto di responsabilità necessario, una scelta politica, un impegno civico.
Tuttavia, c’è un altro aspetto, complementare si può dire, che viene reclamato dall’innocenza delle due domande. Ci viene chiesto di indicare con quale prospettiva guardiamo l’orizzonte: non si possono insegnare delle competenze senza avere scelto con chiarezza quale posizione si ha nel mondo e a quale futuro si vuole tendere, per sé e per coloro a cui si rivolge l’azione educativa.
Quali sono i valori del presente che vogliamo coltivare per un futuro sostenibile? Le opere degli artisti e dei poeti più implicitamente contengono semi di futuro, che germineranno nei comportamenti dei cultori della loro arte, e possibilmente di tutti coloro che ne tenteranno l’esegesi o la comprensione dei loro intenti. Poiché non siamo né artisti né poeti, tramite lo strumento di semplificazione e comunicazione e divulgazione che è il libro, ci proponiamo il compito di illustrare con un linguaggio più che altro visuale, le motivazioni, i processi e gli esiti delle esperienze che meglio chiariscano il nostro punto di vista, e di suggerire ipotesi di varianti o approfondimenti meno informali.
La natura dei nostri workshops è stata sperimentale ed inclusiva. Sperimentale perché abbiamo sempre saputo da dove saremmo partiti ma mai dove saremmo potuti arrivare. Per questo abbiamo lasciato grande spazio all’imprevisto, all’errore, all’imperfezione e all’anomalia. L’incertezza del risultato ha reso vitale i processi esplorativi ed ha animato l’immaginazione di ognuno, che con emozione si è sorpreso di risultati inaspettati. Inclusivi perché, come si sa, le differenze sono ricchezze e coniugare i punti di vista alternativi o irregolari, e anche gli esiti inconsueti, dentro processi collettivi e collaborativi, ha esaltato le potenzialità delle intelligenze peculiari di ciascuno, rendendo le esperienze più varie, consistenti e solidali.
Abbiamo proceduto in maniera empirica dunque, non imponendoci limiti e accettando l’errore e l’imperfezione, sia nostri che degli altri. Abbiamo preferito impiegare mezzi tecnologici semplici, alla portata di tutti, ma anche dispositivi molto complessi. Ma allora, in quest’ultimo caso, il senso delle nostre esplorazioni è stato quello di svelarne le più improbabili potenzialità. Non abbiamo imposto un metodo – che sarebbe stato letale! – ma abbiamo tentato di organizzare il nostro operato per argomenti, per concetti, per idee che come mappe corsare, ci hanno permesso di mantenere una certa coerenza di pensiero, navigando in un mare di infinite, e come tali incomprensibili e inutili, informazioni. Per ognuno dei sei temi (Da Zero a Quattro Dimensioni; Immagino, Proietto, Costruisco; Libri molto Liberi; Il Telefono in Cattedra; Storie di grafiche e Prodotti; Far Vedere L’Aria) sono presentate dunque alcune esperienze chiave, che vengono illustrate nel loro svolgersi, ma senza dare indicazioni operative proprio per suggerire varianti e alternative. Quasi sempre però, viene restituito l’esito corale, con immagini complessive a testimonianza di processi realmente cooperativi. Si sono affrontate le complesse interazioni tra il mondo analogico e quello digitale, abbiamo indagato il rapporto tra ciò che è materiale e immateriale, ma anche il concetto di determinato e indeterminato, di narrazione e di processo, e altro ancora, ma sempre stimolando le abilità manuali, perchè è nella mano che risiede molta della nostra intelligenza esplorativa e creativa.
E quali sono infine le competenze che abbiamo praticato, che vogliamo insegnare? Conoscere per parti e coltivare pazientemente un punto di vista, indagare le proprie curiosità e alimentarle con esplorazioni empiriche, che procedono per accostamenti, differenze e analogie e non solo per procedure analitiche e logiche stringenti. Ma anche accettare il nonsense, l’ironia, la suggestione del paradosso e liberarci dal pregiudizio che ciò che viene insegnato serva, o sia funzionale per raggiungere qualche scopo pratico. E poi il gioco, l’immedesimazione negli altrui panni, l’infrangere le regole (per finta ma anche per davvero) o l’invenzione di storie. E infine reagire al sentimento di inadeguatezza procurato dalla conformazione degli spazi dove l’insegnare è un mestiere e l’imparare è percepito come un obbligo, un po’ come farebbe Monsieur Hulot, perso nelle pieghe del conformismo, del pregiudizio, e dell’omologazione.
Ecco, queste sono solo alcune delle competenze che si ritroveranno tra le pagine di questo primo quaderno di Basic Design. Per le altre, tutte le altre! basta solo aspettare la pubblicazione del secondo quaderno… o vivere quotidianamente stelle di futuro. Buona lettura!
Daniele Mancini e Irene Rinaldi
Roma, maggio 2018
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