Daniele Mancini: Come e’ nato Plancton?
Mauro Annunziato: Nel ’94 insieme ad un pittore, Oscar Gemma de Iulio e ad un altro ricercatore con la passione per la musica, Piero Pierucci, abbiamo fondato questo libero gruppo di ricerca e di sperimentazione espressiva che si e’ rivolto all’arte fin da subito. Ognuno di noi ha cercato di contribuire con le proprie peculiarità : Oscar faceva il pittore in senso tradizionale, e tra l’altro e’ stato lui che ci ha introdotti nel circuito di gallerie e mostre, mentre io e Piero, essendo ingegneri, lavoravamo al computer rispettivamente sull’elaborazione digitale delle immagini e quella del suono. Iniziammo questo percorso con l’idea di fondere insieme queste tre esperienze attraverso delle installazioni multimediali in cui appunto fosse chiaro l’intento di fondere e non giustapporre i vari linguaggi.
Daniele: Quale e’ stato il vostro primo lavoro significativo in questo senso? Se non mi ricordo male in quei primi anni novanta era l’epoca di Opera Totale in cui l’idea era proprio quella promuovere esperienze trasversali che fondevano nuove tecnologie con forme di espressione più tradizionali …
Mauro: Una delle nostre prime installazioni si chiamava Stanze. Fu esibita nella galleria d’arte On/Off di Viterbo e consisteva nel proiettare i visitatori, ripresi con delle telecamere, all’interno di un set cinematografico visualizzato su uno schermo e che ricreava l’ ambiente di una nostra immaginaria ‘casa interiore’. Era una installazione fortemente ‘responsive’, cioè ad ogni movimento, anche minimo, corrispondeva un suono che si amalgamava con una base ritmica sonora. Questo creava un effetto di bio-feedback molto interessante per cui i visitatori a volte si fermavamo per capire se fossero loro a pilotare la musica o fosse la musica a pilotare i loro movimenti: insomma ballavano sulla musica che loro stessi producevano.
Ma a dire la verità anche prima facemmo nelle grotte di Bassano in Teverina l’installazione Lago Sotterraneo. Si trattava della proiezione di una esplosione su un piccolo specchio d’acqua sotterrano che evocava la storia di Bassano. Fu un’esperienza eccezionale per certi versi. Pensa che ci furono visitatori che volevano a tutti costi entrare nell’acqua, immergersi nel lago!
Daniele: Il tema dell’imprevedibilità dei comportamenti del visitatore mi sembra assolutamente cruciale nelle installazioni interattive. Nei vostri lavori come lo affrontate?
Mauro: Beh, in Stanze per esempio noi ci aspettavamo proprio dei gesti, dei movimenti larghi, ampi come quelli di un direttore d’orchestra, invece registrammo molte reazioni inattese. Qualcuno si mise a giocare con le bacchette da batterista ed ha interagito come se suonasse la batteria; un altro ha letteralmente suonato con le sole espressioni del viso. E comunque, devo dire che proprio le inaspettate reazioni dei visitatori ci convinsero che il nostro approccio creativo doveva cambiare, dovevamo in sostanza provare a perdere il controllo dell’opera. Se ci pensi l’opera appartiene un po’ a te che la progetti e la realizzi e un po’ ai visitatori che ne esperiscono i contenuti ma la si potrebbe anche pensare dotata di una sorta di autonomia che la faccia vivere ed evolvere nel tempo indipendentemente da te che l’hai messa in vita. Focalizzammo con precisione questo aspetto e quindi chiamammo il nostro modus operandi Art of Emergence con l’idea di realizzare opere non più statiche ma in evoluzione.
Daniele: Comunque interattive?
Mauro: Si certo, ma per noi l’interazione e’ stato un punto di arrivo successivo perchè quando decidemmo di prendere la strada della perdita del controllo e quindi cogliere l’aspetto della sorpresa, prendemmo la strada della Teoria del Caos. Ci affascinava l’idea che un processo dinamico possa evolvere in modo completamente diverso in relazione a delle piccolissime differenze che hai nelle condizioni iniziali (l’effetto farfalla). I punti in cui il futuro lo vedi evolvere in modo imprevedibile si chiamano biforcazioni. Non sono prevedibili e possono prendere diverse strade. E questo era uno degli aspetti che volevamo utilizzare per ottenere la ricchezza che cercavamo. Puntammo quindi molto sulla teoria del caos. Fu così che andai alla California University per sei mesi a studiare proprio con uno dei più grandi esperti di questo argomento, il professor Abarbanel ,che insegna all’Institute of Nonlinear Science di San Diego…
Daniele: Quindi voi avete pensato all’adattabilità non nel senso della molteplicità delle interazioni del dispositivo tecnologico con i visitatori, ma nel senso dell’evoluzione di un mondo artificiale che si adatta a diversi stimoli esterni…
Mauro: Si, proprio così. Gli assi portanti della nostra ricerca erano, come ti dicevo, il Caos prima di tutto per l’idea dell’imprevedibilità e poi anche il tema dell’Evoluzione che implica l’idea di tempo, di vita e di cumulo delle esperienze. Iniziammo con delle immagini. Programmammo dei semi che crescevano nelle forme di filamenti grafici. Ogni seme era dotato di un codice genetico con delle regole evolutive ben precise. Pero’ poi interveniva una mutazione genetica casuale e i figli dei semi, i filamenti, iniziavano ad evolvere in maniera diversa, non prevista. Fu questo il primo nostro incontro con il caso e ben presto ci rendemmo conto che questo era l’ingrediente per dare autonomia all’opera. Succedeva che i pattern graficizzati sullo schermo del computer erano non solo molto ricchi, ma sempre diversi e assolutamente non prevedibili. Con questo approccio iniziai a costruire una collezione di immagini che dapprima chiamai ‘Nagual’ in omaggio al lavoro di Castaneda e successivamente Artificial Societies. Quando esponevo queste immagini ero spesso sorpreso dal fatto che molti studiosi di ambiti diversi, guardando questo lavoro, queste immagini, mi confessavano di vedere riflessa la loro disciplina in qualche maniera: i sociologi mi dicevano che quella che vedevano era sociologia, gli psicologi, psicologia e via dicendo… perchè in fondo le immagini riproducono lo spirito evolutivo, riproducono il processo della vita che viene attentamente studiato da molte discipline diverse.
Per rispondere più precisamente alla tua domanda, l’adattamento era riferito proprio all’evoluzione del sistema. Mi spinsi fino al limite delle tecnologie di allora per esaltare gli aspetti di adattamento ed auto-organizzazione creando immagini fino a risoluzioni di 20.000 x 100.000 pixels che era allora pazzesca.
Solo più tardi ci domandammo come poter inserire l’interazione umana, del visitatore, nel meccanismo evolutivo di questi esseri viventi virtuali. Così nacque Relazioni Emergenti che fu la traslazione dinamica ed interattiva delle immagini di ‘Artificial Societies’. Pensammo alle persone come agenti che erogavano energia nel sistema: si potevano avvicinare alla proiezione e toccando la superficie riuscivano a modificare l’evoluzione dei filamenti in prossimità della mano. Da questo poi siamo passati a quello che abbiamo chiamato il paradigma dell’Ecosistema Ibrido, cioè un’ambiente sensibile dotato di sensori in cui creature artificiali e persone vere possono interagire e scambiarsi mutue informazioni, si possono influenzare a vicenda, condizionarsi… un sistema, un ecosistema in cui una intera società di creature artificiali si fonde con la società delle creature umane…
Daniele: Com’ e’ che avvenne il salto concettuale? Una volta intuito l’orizzonte verso cui guardare cosa avete fatto? Quale e’ stato il processo, gli esperimenti?
Mauro: Il salto lo facemmo con E-SPARKS, che è una esperimento che ormai dura da molti anni, in cui non c’erano più dei disegni, dei filamenti, non c’era più la metafora dell’evoluzione genetica, quanto piuttosto quella della comunicazione sociale, dell’apprendimento, dell’adattabilità intelligente. In E-SPARKS tu parli con delle creature intelligenti che hanno capacita’ di parlare, di parlarsi, di creare un linguaggio per interagire con l’uomo. Le prime creature che creammo erano in grado di imparare a mangiare. Noi gli davamo dei bocconcini di cibo e loro capivano che se mangiavano sopravvivevano altrimenti morivano…
Daniele: Bocconcini? Stiamo parlando di software, codice, programmi, giusto?
Mauro: Si, ovviamente! Erano bocconcini simbolici. Dopo soli 20 minuti queste creature erano in grado di capire come fare per sopravvivere. E questo esperimento all’inizio fu abbastanza sorprendente perchè anche se l’adaptive behaviour non si sviluppava intenzionalmente ma attraverso una pressione evolutiva programmata, le creature era chiaro che potevano fare delle cose che sembravano intelligenti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, facemmo in modo che il comportamento di intere colture di creature artificiali si sviluppasse non più in funzione dei bocconcini di cibo ma in funzione delle interazioni con l’uomo. E cosi’ nacque E-SPARKS: sopravviveva chi era capace di trovare un qualsiasi modo di interagire con l’uomo!
Daniele: Quali sono gli artisti, gli scienziati, i pensatori, i concetti che maggiormente hanno influenzato e continuano ad informano la tua attività di ricerca artistica?
Mauro: Da un punto di vista scientifico innanzitutto citerei la Teoria del Caos, Lorenz per intenderci, ma anche il concetto di self organization, l’auto-organizzazione, cioè la capacità di sistemi complessi fatti di una moltitudine di elementi di organizzarsi nelle forme di un organismo di livello più complesso, come può essere la mente umana, una societa’ o un oggetto fisico, e quindi Prigogine che l’ha portato alle estreme conseguenze, ma anche Kauffman che ha calato il concetto dell’auto organizzazione nell’evoluzione sostituendo in qualche modo le teorie di Darwin parlando di ecosistemi fondati sulle capacita’ di cooperazione degli individui.
Poi per quanto riguarda l’arte, ho due artisti nel cuore. Il primo è sicuramente Burri che attraverso i suoi cretti mi ha mostrato come la manipolazione del flusso caotico possa condurre all’arte generativa. Lui creava metteva in atto processi fisici che evolvevano ed invece di lavorare sul singolo elemento lavorava sul flusso, ossia sul metadesign.
L’altra artista che mi ha da sempre appassionato e’ stata sicuramente Christa Sommerer perchè insieme ad altri come Herbert e Fergusson furono tra i primi a superare l’idea che la tecnologia dovesse essere al centro dell’opera. Le loro opere sono piene di tecnologia ma non si vede, operano con piante, sabbia, pietra. E questa è la via della poesia.
Daniele: Un’opera di Christa Sommerer in particolare?
Mauro:Interactive plant growingg per esempio, in cui delle piante, vere, equipaggiate con dei sensori, funzionavano da interfaccia per un programma generativo: tu le toccavi provocando delle scariche e il sistema proiettava la crescita di piante artificiali. C’è tutta l’idea di connettere strettamente il reale con il virtuale cioè un organismo vivente con uno artificiale che non sai come può evolvere.
Daniele: A proposito del rapporto tra Tecnologia (Digitale) e Arte?
Mauro: Credo profondamente che nell’arte la tecnologia sia uno strumento più che uno scopo. La tecnologia e’ un mezzo come potevano esserlo il pennello, la tela. E’ un linguaggio, un modo di esprimersi. Il contenuto e’ un’altra cosa, e’ cio’ che viene veicolato… Per quanto riguarda la tecnologia digitale, penso che sia stata fondamentale per toccare questi altri paesaggi fatti di principi evolutivi, arte generativa, ecosistemi ibridi, il contatto con l’alieno, con le creature artificiali… senza il computer non si sarebbero potute esplorare nessuna di queste cose.
Daniele: Come artista e uomo di cultura, perchè credi sia cosi’ importante confrontarsi con l’artificiale?
Mauro: Perchè la creatura artificiale è sempre la proiezione dell’uomo e l’uomo ci si proietta sempre, ci si specchia. In E-SPARKS succede che la creatura assorbe talmente tanto materiale umano, assorbe da tutti coloro che interagiscono con lei, che progressivamente essa stessa diventa specchio dell’uomo. Quando per la prima volta esponemmo E-SPARKS ai Mercati di Traiano, all’inizio erano delle medusette che si muovevano e parlavano con le persone in maniera incomprensibile. Dopo tre mesi e circa 50.000 visitatori, la cosa era completamente stravolta. Non erano più creature artificiali!
Daniele: In che senso?
Mauro: Sostanzialmente noi creiamo la nostra identità attraverso l’organizzazione di una serie di frammenti sparsi, le esperienze che provengono dal mondo in cui siamo immersi, è questa l’idea della ‘swarm intelligence’. Le creature alla stessa maniera, captavano dalle persone, frammenti ed icone linguistiche. Le decontestualizzano dalla mente del visitatore e li ricontestualizzavano nel loro mondo ricomponendoli in maniera per loro significativa nelle loro menti. Alla fine, dopo tante ‘esperienze’, ti accorgi che non sono più creature artificiali ma frammenti umani con cui ti puoi confrontare.
Daniele: Dove vivono adesso?
Mauro: Ogni volta che accendo il computer, E-SPARKS torna a vivere e continua ad evolvere. Ha vissuto 3 mesi ai Mercati di Traiano, ha vissuto in un convegno sulla vita artificiale, al MART, il Museo di Arte contemporanea di Trento e Rovereto, a Paestum in un ambiente di storia e archeologia, e vivra’ ancora all’Auditorium al Festival della Scienza. Ogni volta queste creature evolvono perchè nuovi visitatori lasciano nuovi frammenti, nuove tracce da decontestualizzare e ricomporre.
Daniele: Il sistema ha memoria di quello che è successo nel passato?
Mauro: Si, ma io non la controllo. Siccome captano solo alcune delle frasi e delle immagini che i visitatori lasciano, io non so quali apprezzano di piu’. Hanno un meccanismo di creazione del linguaggio, una rete semantica interna, che si accresce continuamente in modo da poter rispondere alle persone in una maniera più o meno sensata dal punto di vista statistico. E questo naturalmente crea ambiguità . A volte sembra di parlare con un oracolo!
Daniele: Si percepisce l’evoluzone di queste creature?
Mauro: Si capisce molto bene. All’inizio e’ molto confuso perchè rispondono con frasi prese da altri visitatori. Strada facendo però cominciano ad elaborarsi. Per esempio ai Mercati di Traiano alla fine succedeva che se tu parlavi in spagnolo loro rispondevano in spagnolo, se suonavi un’armonica, loro rispondevano suonando, se tu cantavi, loro cantavano.
Noi abbiamo archiviato tutta la storia della loro evoluzione linguistica ma quello che alla fine è interessante è la loro capacità di adattamento: se porteremo l’installazione in Australia, loro parleranno in inglese; se la porteremo in Cina, le creature impareranno a rispondere in cinese…
Daniele: Per concludere mi potresti raccontare la situazione piùcuriosa che ti hanno procurato le creature artificiali? Una reazione di un visitatore? Perchè immagino che non tutti di primo acchito sono in grado di capire la complessità di questi ragionamenti…
Mauro: Hai ragione. Ti racconto un aneddoto che mi è capitato spesso in diverse forme. Nel 2000 fummo invitati ad Innovazione Smau, un crogiuolo di invenzioni ed idee per il futuro, e portammo Relazioni Emergenti. C’erano delle persone che mi chiedevano di queste creature. Una signora ad un certo punto mi chiese preoccupatissima se c’era il pericolo che sfuggissero dal controllo, se potessero uscire dallo schermo ed andare nel mondo. La rassicurai dicendo che una volta spento il computer non c’era più nessun problema perchè morivano per mancanza di energia. Alla sera, quando uscimmo, trovai la signora che mi aveva aspettato. E mi chiese: l’ha spento il computer?
copyleft – Mauro Annunziato e Daniele Mancini
Anguillara Sabbazia (RM), 21 dicembre 2006