Campo Urbano. Copertina del catalogo
Campo Urbano. Copertina del catalogo

Being Monsieur Hulot lost into the no man’s land

Urban Fields. Esperienze estetiche di appropriazione urbana

Chiunque può fare questo esperimento, la carta da disegno è dal cartolaio le forbicini ci sono le istruzioni pure, anche le mani, provate. Provata a fare anche altre forme. Ancora (perché le precedenti non andavano bene). Queste si.

[Bruno Munari:1969]

[…] le reste, tout le reste, où est il? Ce qui se passe chaque jour et qui revient chaque jour, le banal, le quotidien, I’évident, le commun, l’ordinaire, l’infra-ordinaire, le bruit de fond, I’habituel, comment en rendre compte, comment l’interroger, comment le décrire ?

[Perec: 1989]

Campo Urbano, l’evento durato un giorno organizzato da Luciano Caramel insieme a Bruno Munari il 21 settembre 1969 a Como, è tornato di recente alla ribalta grazie alla mostra Fuori! organizzata al Museo del ‘900 di Milano. In realtà questo evento è ben noto agli architetti poiché nel racconto ufficiale della storia dell’architettura si iscrive nel novero di quella diversa tradizione multidisciplinare delle esperienze radicali difficilmente catalogabile e quindi mai messa completamente in evidenza, emersa a cavallo della contestazione del ’68. Per tale reticenza, questa tradizione è periodicamente oggetto da parte di architetti impegnati in esplorazioni indipendenti ed emancipatorie, fuori dai percorsi tradizionali, di indagini alla ricerca di tracce e di genealogie sugli attuali temi di critica sociale ed urbana.

Campo Urbano. Copertina del catalogo
Campo Urbano. Copertina del catalogo

Quello che rimane di Campo Urbano è un preziosissimo catalogo [1] di splendide fotografie che Ugo Mulas aveva scattato per documentare ogni installazione e performance artistica della giornata. Era corredato inoltre da un testo di presentazione e dal comunicato stampa orginale, poi da tutte le motivazioni dei singoli interventi ed infine da un commento finale sconsolato ma non disfattista di Luciano Caramel che era stato insieme a Bruno Munari il coordinatore e il curatore dell’evento.

Per far vedere l'aria, performance di Bruno Munari
Per far vedere l’aria, performance di Bruno Munari

Campo Urbano presenta caratteri di originalità rispetto agli altri momenti simili registrati in più occasioni dalla storiografia [2]. Sicuramente il più rilevante ai fini dell’attività di Urban Fields è il fatto che per la prima volta artisti e architetti si incontrano “in piazza” cioè esprimono le loro visioni, tensioni, ambizioni, rivendicazioni, e le loro posizioni teoriche, concettuali, speculative relative alla loro pratica, in un contesto pubblico [3], sociale, coinvolgendo la comunità reale, con mezzi identici: happenings, installazioni, performance, playground, riti e divagazioni urbane di varia natura. Annullandosi così le distanze disciplinari si veniva affermando il ruolo centrale dei creativi come operatori civili che con i loro gesti rendono palesi le contraddizioni dei fenomeni contemporanei, evidenziano ciò che rimane al margine, mettono a fuoco quello che rimane alla periferia del cono visuale quotidiano, riportano alla ribalta il rimosso, il negletto.

Come si può leggere dal comunicato stampa, la manifestazione nacque “dall’esigenza di portare l’artista a diretto contatto con la collettività di un centro urbano, con gli spazi in cui essa quotidianamente vive, con le sue abitudini, le sue necessità. E ciò al di fuori di limiti pregiudiziali che ostacolino le possibilità dell’artista di realizzarsi in piena libertà e quindi con la maggiore potenzialità operativa e con gli esiti più fecondi”. Inoltre l’atteggiamento curatoriale fu del tutto aperto, gli artisti vennero invitati “ad un impegno nella ricerca di un rapporto reale – e quindi vivo e non scontato – con gli abitanti di una città e la città stessa“. Questo con l’intenzione di riflettere sul “senso stesso dell’arte ed il problema della sua funzione oggi: come, ad esempio quello dei confini delle loro possibilità di risposta alle necessità della collettività; quello delle scelte opportune ad una presenza non marginale o solo decorativa nella società attuale; quello dell’opportunità di adottare soluzioni effimere o “permanenti”, radicali o parziali, eversive o riformistiche”.

Nel testo di commento del catalogo alla mostra Fuori! Luciano Caramel ribadisce alcuni aspetti critici dell’evento e ne racconta le motivazioni: “Campo Urbano non fu un colpo di fulmine a ciel sereno, ma espressione del clima sociale, culturale e artistico di quell’ormai remoto 21 settembre 1969, ancora innervato dello spirito sessantottesco che, con gli studenti, coinvolse gli artisti”.

La performance più straordinaria e dirompente per la sua semplicità ma anche probabilmente per la sua rassicurante banalità, è Far Vedere L’Aria di Bruno Munari. In pratica con un foglio di istruzioni per l’uso, invita gli abitanti a salire sul campanile del Duomo e a costruire con dei fogli di carta delle forme che lasciate cadere nel vuoto ne avrebbero rivelato l’essenza ovvero la consistenza dell’aria. Non c’è critica, non c’è sovversione. Solo un gesto semplice, didattico (maieutico?) che tutti siamo in grado di comprendere e rieseguire variandolo a seconda delle nostre inclinazioni. Un invito a prendere coscienza di una delle innumerevoli modalità creative da cui prendono vita progetti più complessi. Una gesto liberatorio per far sperimentare a tutti il valore del gesto creativo, decondizionato al limite del paradossale.

Gianni Pettena invece è coinvolto in un ragionamento critico: in Piazza Duomo, salotto cittadino luogo di ufficiale rappresentanza, tira dei fili di panni lavati e li stende ad asciugare. Un gesto di plateale de contestualizzazione per riportare l’attenzione sul rapporto tra il centro storico, sempre più trasformato in palinsesto statico di ostentazione del potere, ed il resto della città in trasformazione dove si consumano nel contempo i drammi di disuguaglianza sociale ed emarginazione.

In linea con le sue ricerche cinestetiche Dadamaino propone una performance coinvolgente e caraggiosa: chiede ai passanti di gettare dei quadrati di materiale fluorescente e galleggiante sull’acqua del lago di Como e guardare l’effetto. C’è una combinazione di temi molto interessante: l’idea dell’automotricità, infatti i pezzetti di plastica ondeggiano secondo il moto dell’acqua; l’idea della casualità in un programma estetico definito, procurata dal coinvolgimento e dalla reazione non preordinata della gente; l’idea di un materiale fluorescente, quindi mutevole alle condizioni, per estensione, atmosferiche, esogene.

Giuseppe Chiari, legato all’esperienza Fluxus, con Franca Sacchi mise in atto invece un concerto vero e proprio con oggetti di uso comune (posate, barattoli) o trovati per caso, percuotendo sbarre di cancelli, ringhiere, o qualsiasi altro dispositivo adatto. Intitolarono questo loro intervento Suoniamo la Città, il cui manifesto concettuale è il brano musicale intitolato Suonare la Città, in cui Giuseppe Chiari fa della convenzione, del noto, del’abitudine, del rassicurante il campo di lavoro dell’artista che sovvertendo le regole, guardando da punti di vista diversi, ponendosi “fuori campo” rispetto alle consuetudini, interrompe con inaspettatata semplicità e banalità lo scorrere quotidiano delle cose.

Clothes Lines di Gianni Pettena
Clothes Lines di Gianni Pettena

Il nome Urban Fields significa “Campi Urbani” ed è un omaggio appunto a Campo Urbano di Caramel e Munari, ma sentinelle assolute del viaggio concettuale di Urban Fields sono anche: la riflessione sull’ovvio, il banale, il quotidiano, che ci consegna Georges Perec con il concetto di infraordinario [4] e il ready made urbano della prima e unica escursione dadaista [5], che da valore più che ad un’opera fisica, ad un vuoto, ad una assenza, da riempire con una azione, un gesto simbolico.

Le azioni di Urban Fields per la maggior parte sono interventi di appropriazione spontanea dello spazio pubblico che oscillano tra l’installazione temporanea e l’evento. Molto spesso si tratta di microtrasformazioni del contesto urbano che possono avvenire attraverso performance, happenings, installazioni pop-up, ready made, coinvolgendo comunità in momenti di socialità e partecipazione, oppure in playground di espressione ludica.

L’obiettivo di queste azioni è quello di esplorare e far emergere le potenzialità inespresse dei territori metropolitani problematici, controversi, marginali (ma non necessariamente periferici), oppure negletti, rimossi dalla coscienza collettiva. Riattivare questi spazi, farli tornare alla luce attraverso gesti semplici, significa testimoniare la convinzione che lo spazio pubblico (per estensione tutto ciò che riguarda la dimensione pubblica, comune, sia in senso sociale che fisico) possa essere una opportunità per tutti, una occasione per esprimere consenso o dissenso, o semplicemente un punto di vista, una convinzione, oppure per sperimentare con progetti più complessi le ambizioni collettive, o quelle personali, più intime, innocenti.

È noto l’aneddoto di Bruno Munari su questo argomento: “Se chiedi ad un bambino giapponese a chi appartiene il giardino pubblico fuori di casa, ti risponderà che è di tutti. Se lo chiedi ad un bambino italiano ti risponderà che non è di nessuno”.

Logo di Urban Fields
Logo di Urban Fields

Urban Fields si presenta con questo testo:

Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Per lo più eseguiti manipolando oggetti che connotano la nostra quotidianità. Lo spazio che ci circonda trasfigura. C’è una intenzionalità che rivela ciò che non era mai apparso prima: la forma del sole, lo spessore dell’aria, la relazione tra le cose, le storie dell’anima. Paradossali, surreali, spontanei. Trasformazioni che durano il guitto di un raggio di sole riflesso da uno specchietto sulla facciata di un edificio, o il lancio di un sassolino dentro la casella di una campana disegnata a terra. Altalene che dondolano ritmicamente come codice morse visuale. Un paesaggio nomade di soffi di vento imprigionati in capsule trasparenti. Gesti semplici, minimali, quasi intimi. Atti liberatori. Che svaniscono nel momento in cui si compiono. E tutti questi momenti andranno persi nel tempo come lacrime nella pioggia…

Non viene espresso un programma, un manifesto, una intenzione artistica in senso stretto. L’appropriazione di spazi e contesti per esprimere una propria visione del mondo, qualsiasi forma essa assuma, collettiva o personale, è una sorta di gesto estetico primitivo, un atto fondativo, di definizione dello spazio vitale, un segnale lasciato nel “paesaggio” metropolitano dell’abbandono, del rimosso. Detta in maniera diversa, le azioni di Urban Fields sono il risultato di un sentimento di inadeguatezza. Esattamente come Monsieur Hulot, ci aggiriamo per la città cercando di trovare sollievo dall’incomprensibile razionalità funzionalista che ci circonda. Con gesti minimi, semplici, a volte liberatori seppure “fuori luogo”, decontestualizzati.

NOTE

[1] – Caramel, L., Mulas U., Munari B., Campo Urbano. Interventi Estetici nella dimensione collettiva urbana, catalogo dell’evento (21 settembre 1969) (fotografie di Ugo Mulas, Progetto Grafico di Bruno Munari), Como, Nani editrice, 1970 s.p.
Il programma della giornata, l’elenco di tutti gli artisti, e le fotografie dell’evento sono disponibili alla pagina
[ http://urbanfields.wordpress.com/inspiration-2/inspiration/ ]

[2] – Per gli imprescindibili modelli di riferimento per la vicenda dell’arte pubblica in Italia intesa come operazioni estetiche nel sociale sono stati una ricognizione puntuale e approfondita in : Bignami Silvia., Pioselli Alessandra., (a cura di) (2011), Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976, Catalogo della Mostra, Milano: Electa. E inoltre Birozzi Carlo, Pugliese Marina., (a cura di), Arte pubblica nello spazio urbano. Committenti Artisti Fruitori, Milano: Bruno Mondadori. Per quanto riguarda l’architettura, un quadro d’insieme del movimento radical è fornito in Pettena, Gianni (a cura di) (1996) Radicals, architettura e design 1960-75 = Radicals, design and architecture 1960-75, Venezia : La Biennale di Venezia ; Firenze : Il Ventilabro

[3] – Maurizio Calvesi aveva proposto il concetto di “campo” nel saggio Strutture del primario (in Lo Spazio dell’immagine, catalogo della mostra tenutasi a Foligno, 2 luglio-1 ottobre 1967), spostando l’attenzione dall’opera al campo di azione.

[4] – Perec, Georges (1994) Infra-ordinario, Milano: Bollati Boringhieri (L’infra-ordinaire, 1989, Paris: Editions du Seuil)

Quello che succede veramente, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo? […]Non più l’esotico, ma l’eneddotico. […] Ciò che dobbiamo interrogare, sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra aver smesso per sempre di stupirci.

[5] – Tzara, Trista (1921), Excursions & visites Dada : 1ère visite, Eglise Saint Julien le Pauvre, Paris (IOWA University Digital LIbrary
http://digital.lib.uiowa.edu/cdm/compoundobject/collection/dada/id/18924 )

Come nota Francesco Careri in Walkscape (Careri:2006, pp.41-42): Il primo ready made urbano di Dada segna il passaggio dalla rappresentazione del moto alla costruzione di un’azione estetica da compiersi nella realtà della vita quotidiana. […] La città dadaista è una città del banale che ha abbandonato tutte le utopie ipertecnologiche del futurismo. La frequentazione e la visita dei luoghi insulsi sono per i dadaisti una forma concreta per operare la dissacrazione totale dell’arte, per giungere all’unione tra arte e vita, tra sublime e quotidiano. […] Il ready made urbano che viene realizzato a Saint-Julien-le-Pauvre è la prima operazione simbolica che attribuisce valore estetico a uno spazio vuoto e non ad un oggetto.


Questo testo è stato pubblicato per la prima volta su

Francesco Marano (a cura di) (2014), Mappare. Arte, antropologia, scienza, Matera

Una versione più dettagliata e annotata è invece in

Mancini, D. (2012) Campi Urbani. Azioni, Performances, Happenings, Installazioni di Urban Fields nella Dimensione Pubblica e Sociale, New York (link su issuu.com)

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