Viaggio, Reti, Identità, Freschezza. Intervista a Dominique Perrault

Daniele Mancini. Mi sembra che per un giovane architetto appena uscito dall’università la sfida più grande sia quella di inventarsi il mestiere. Già prima della laurea abbiamo avuto tutti mille occasioni, grandi o piccole ma poi c’è chi va a fare il master a Londra o New York, chi va a lavorare negli studi più o meno noti in giro per il mondo –  molti proprio qui nel suo studio! – chi cerca di immettersi subito nel circuito della professionismo locale … Ma lei che cosa ha fatto dopo essersi laureato? Ha aperto subito un suo studio Oppure è andato a lavorare da qualche architetto famoso, un maestro, per imparare ? Già allora aveva le idee chiare sul percorso da fare?

Dominique Perrault. A dire la verità non avevo proprio nessuna idea! Niente di niente! Comunque, per un pò di tempo dopo la laurea ho lavorato all’ Atelier d’Urbanisme di Parigi e la cosa fu conseguente agli studi che avevo fatto. Non avevo speso tutto il mio tempo solo alla scuola di architettura, ma avevo seguito anche delle lezioni all’Ecole Nationale des Ponts et Chausees dove presi la mia laurea in urbanistica. Mi interessavo di strategie urbane a larga scala, allo sviluppo e al controllo del territorio e cose del genere. Dopodichè mi sono occupato di storia urbana, sempre a Parigi, abbazie, monasteri, chiostri, anche di misticismo …


D.M. Si è anche specializzato in Storia dopo la laurea in architettura, non è vero? È molto interessante. Come mai ?

D.P. Si, è vero. Durante quel periodo volevo studiare il rapporto tra quelle istituzioni che trovano espressione in edifici o spazi, e la città. Ora non ricordo bene per quale motivo, ma all’epoca era eccitante. In particolare mi sono occupato della relazione tra l’istituzione del comune e la città. Non il Comune di Parigi, non l’Hotel de Ville. Ma i piccoli comuni dei vari arrondissements di Parigi. Volevo capire che risonanza avessero questi edifici, che poi erano rappresentativi dell’istituzione, una sorta di monumento, e i vari distretti. Nel 1700 le istituzioni culturali, ma anche quelle religiose e del potere temporale, erano in linea di massima concepite con una morfologia totalmente introversa che comprendeva giardini, peristili, corti. Invece nel secolo successivo, per ovvi motivi storici cioè l’avvento della repubblica, la democrazia, la politica innovativa etc., tutto era completamente estroverso, l’opposto. E vedere in che rapporto tutto questo era con la città mi interessava molto. Ho coltivato questo interesse nel tempo, tanto che la Bibliotèque in Parigi è la perfetta combinazione, la giusta misura diciamo così dell’atteggiamento introverso – il giardino centrale, il silenzio, il corridoio perimetrale – e quello estroverso rappresentato dalle quattro torri e dallo spazio pubblico circostante.

D.M. Il discorso è ineccepibile. Lei fa un ragionamento sulla città, sulla storia, sullo sviluppo urbano, poi menziona come sintesi del suo percorso il progetto per la Bibliotèque che è considerata un’architettura contemporanea di grande valore. Quindi mi viene da chiederle se lavorare in Italia, dove questa chiarezza di visione stenta ad imporsi, le risulta complicato …

D.P. Beh per me l’esperienza in Italia è un pò nuova. Ultimamente ho partecipato a molti concorsi ma poi ho anche avuto diverse commissioni ad essere onesto.

D.M. Questo è piuttosto inusuale per un architetto straniero …

D.P. È vero! Totalmente sorprendente! E devo aggiungere che queste commissioni sono tutte di natura differente e molto molto stimolanti! Per esempio la famiglia Barilla mi ha incaricato di sviluppare un’idea progettuale per un Learning Center all’interno dei loro stabilimenti, un laboratorio speciale dove esplorare le relazioni tra il mondo della cultura, quello dell’industria e della produzione.

Poi c’è l’intervento a Napoli, un progetto a cui sono stato invitato a partecipare da Mendini. È una piazza immensa, uno spazio di 400 metri per 160, uno dei luoghi della città destinato a diventare punto nevralgico per gli spostamenti dei Napoletani, un nodo intermodale. Nell’area di Piazza Garibaldi si concentrano ben cinque stazioni: la stazione ferroviaria, le linee 1 e 2 della metropolitana, la circumvesuviana ed in previsione futura la stazione dell’Alta Velocità, senza contare gli scambi con i mezzi pubblici e taxi… È uno spazio pazzesco! E pone problemi molto attuali dal punto di vista dello sviluppo della città contemporanea e della sua trasformazione. Per Napoli è una grande sfida. Si potrebbe immaginare che questa grande piazza su cui stiamo lavorando, diventi in dieci o venti anni il nuovo centro della città, il luogo che polarizza tutte le attenzioni, un centro per la città contemporanea diverso dal centro storico.

È meraviglioso! E tutto questo ha cambiato la mia visione dell’Italia. Fino a qualche tempo fa, si vincevano i concorsi, venivi applaudito ma poi non si faceva nulla. Oggi mi chiama il comune di Napoli che vuole fare questa piazza e la stiamo veramente realizzando.

D.M. E in Francia che succede? A guardar bene la lista dei progetti, mi sembra che stia costruendo più all’estero che in patria …

D.P. Non so, a dire la verità! Vivo una situazione curiosa. Cinque anni fa ho smesso di prendere commissioni in Francia, tuttavia abbiamo moltissimo lavoro lo stesso. L’ultimo edificio è stato la mediateca di Lione, un edifico piccolo, molto curato, con l’ambizione di essere un edificio sociale. E ora inoltre nel mio studio la maggior parte degli architetti sono stranieri: spagnoli, tedeschi per la maggior parte, giapponesi, e da molte altre nazioni. Il fatto che ci siano molti tedeschi è dovuto al fatto che abbiamo realizzato questo progetto a Berlino che mi ha impegnato per molto tempo (la piscina e il velodromo olimpici) e inoltre perchè ho avuto uno studio con 60 persone a lavorarci. Ma adesso l’abbiamo chiuso perchè non ci sono più commissioni. Ora abbiamo qualche lavoro in Austria, in Svizzera …

D.M. Ma adesso per gli architetti di fama internazionale il paradiso è la Cina, la Corea, l’estremo oriente …

D.P. Si hai ragione ! Ad ogni modo per me questo è un momento molto fortunato, ma incrocio le dita. Infatti devo realizzare una torre a Vienna alta 200 metri, poi c’è il progetto a San Pietroburgo del Teatro Mariinsky, e poi il concorso vinto a gennaio a Seul. Sono edifici immensi! Uno in Europa, un altro in Russia, un altro in Asia … non è male!

D.M. Qualche piccolo edificio ?

D.P. Nessuno! Niente! E questo è un problema … Dopo la Bibliotèque Nationale, tutti mi hanno chiesto di fare grandissimi complessi e nessun edificio di dimensioni ridotte. Sai cosa dicevano? Che alcuni edifici erano troppo piccoli e non avrei mai accettato di realizzarli oppure che non ne sarei stato capace! Era la mia immagine ed è ancora la mia immagine. Questo è un pò frustrante e faticoso. Infatti i grandi edifici sono pesanti, complessi da gestire, mille soggetti da mettere d’accordo, la città, il governo, i privati … devi perdere un sacco di tempo per accontentare tutti.

D.M. Ritorniamo per un momento a parlare di scuola. So che lei insegna a Zurigo. Le piace insegnare ?

D.P. Si, mi piace molto insegnare. Oltre che a Zurigo sono stato invitato anche a Chicago, a Bruxelles, a Barcellona …

D.M. Come Visiting Professor, non è vero ?

D.P. Si, certo. Sempre come Visiting Professor. Il mio grande problema da questo punto di vista è che non c’è il tempo. Non ho tempo. Ma a Zurigo è stato perfetto, la scuola è di altissimo livello, molto efficiente! È successo che sono stato invitato a tenere lezioni per tre anni quando la normalità è di un anno. E quindi ad un certo punto ero il più anziano e questo mi ha permesso di coltivare delle relazioni importanti con gli altri professori ma anche con alcuni studenti. Ora abbiamo un progetto con Zurigo su cui stiamo lavorando. Vorrei introdurre nella scuola un laboratorio di architettura che ha come oggetto di studio i tessuti, di qualsiasi materiale, PVC, metallo, acciaio e mi piacerebbe che si potessero sviluppare dei ragionamenti su come possono essere applicati in architettura. La cosa bella è che non si è pensato ad un corso normale ma ad un vero e proprio laboratorio …

D.M. Il passo successivo quale sarà? Come sarà organizzato questo laboratorio? Chi ne farà parte ?

D.P. La mia idea è quella di creare un corpus di conoscenza per questo tipo di materiali che sono strutturali e non solo decorativi. Ho coinvolto il dipartimento di statica e di architettura e mi piacerebbe che ingegneri, architetti e studenti lavorassero insieme. Per ora cerchiamo di promuovere e proporre un progetto di ricerca che durerà due anni. Arriveranno dei fondi anche dallo stato e non solo dall’università. Poi, dopo due anni, forse attiveremo un Master o forse una scuola di Dottorato.

D.M. Ancora a proposito di scuole, che ne pensa dell’Architectural Association oppure del Berlage Institute? Secondo lei un giovane laureato dovrebbe intraprendere quella strada ? Sembra che non se ne possa quasi più fare a meno …

D.P. No, no … Per me la cosa migliore sarebbe quella di viaggiare, conoscere colleghi stranieri e cercare di lavorare insieme a progetti in tutta Europa. Italiani con Francesi, Spagnoli con gli Inglesi e i Tedeschi, non so … Mi sembra molto eccitante l’idea che la prossima generazione di architetti possa fondere le differenti culture a livello europeo pur rimanendo ognuno con la propria identità. Credo poi che bisogna collaborare in gruppi multinazionali per essere liberi. Se rimani nel tuo paese sei costretto a dire sempre di si, ai politici, agli amministratori, invece se ti muovi acquisti libertà, puoi fare progetti in giro e poi, dopo due anni, cinque anni, si cambiano partner, si cambia approccio e ogni volta fai un progetto diverso. Questa secondo me è la maniera per affrontare il futuro.

D.M. Beh, ormai noi giovani architetti già facciamo questo con Europan da molto tempo!

D.P. Hai ragione ! Europan è un’occasione eccezionale per i giovani …

D.M. Che ne pensa dell’estremo oriente? Non si potrebbe estendere questo ragionamento con il Giappone ? O con la Cina che sta esplodendo? Anche questa direzione è percorribile? Lavorare sul network in Oriente come lo giudica?

D.P. Mah, non so. Forse è troppo lontano. La strada Italia-Thailandia per esempio mi sembra troppo una questione di soldi, un business. Quello che conta per me è la specificità delle radici culturali, la capacità di riuscire a costruire la propria identità e poi di esprimerla. Questo vale per chi è all’inizio ma anche dopo. Infatti la vita operativa di un architetto è lunga e prevede che si impari a realizzare edifici, ma allo stesso tempo si deve imparare a realizzarli con un proprio personale linguaggio, la propria identità. Dopo trenta anni tu devi essere ancora fresco, e il segreto sono le radici culturali. La questione ovviamente è molto complessa per via delle mode che disturbano questo percorso di ricerca. Ad ogni modo, desidero ribadirlo, per me bisogna imparare a mettere a punto e accrescere la propria specificità, meglio se insieme ad altri colleghi, insieme alle persone che ti circondano e con cui lavori. Dopo di chè puoi fare quello che vuoi ovunque, senza limiti.

D.M. Si potrebbero isolare quattro parole chiave per riassumere i ragionamenti fatti fin qui: direi network, viaggiare, freschezza, identità. A questo punto mi viene spontaneo chiederle se lei viaggia molto o se le piace viaggiare. E poi, in che misura crede che il viaggio sia un momento importante per un architetto?

D.P. Ad essere sinceri viaggiare è molto stancante e costoso! Ma è anche una meravigliosa opportunitè per prendere le distanze da quello che fai di solito. Ti permette di avere un punto di vista nuovo. Infatti ora io sono qui a Milano e mi rendo conto che penso al mio studio e ai miei progetti in maniera completamente diversa. Non voglio dire che li cambierei, semplicemente è come se avessi un grandangolo che mi permette di ampliare lo sguardo e di valutarli con più leggerezza. E questo è molto interessante per il processo creativo di un architetto. Per esempio, qualche minuto fa ero con Philippe Starck a prendermi un caffè. Abbiamo chiacchierato del progetto che stiamo facendo insieme. Non è stata una chiacchierata seriosa o intellettuale, piuttosto un dialogo rilassato e aperto, senza vincoli, che ci ha portato a considerare molte cose a cui non avevamo pensato quando eravamo a Parigi. Ecco, ora noi ritorneremo su questo progetto e lo modificheremo, lo miglioreremo, lo alimenteremo con apporti nuovi scaturiti dalla nostra chiacchierata intorno ad un caffè .

D.M. Credo che anche leggere sia un modo di viaggiare, un viaggio interiore per così dire, che ci permette di esplorare, di svelare, far emergere delle inaspettate intuizioni creative che gestiamo ma che non sono ancora nate … Lei legge molto ?

D.P. Si, io leggo molto, ma direi che l’ispirazione maggiore mi provenga dall’arte contemporanea. Sono molto ‘emozionale’ per l’arte contemporanea, mi piace il modo di lavorare e di pensare di alcuni artisti contemporanei. Ma anche il design, l’alta moda, la musica …

D.M. E che mi dice della piazza di Cinisello Balsamo? È stata già inaugurata ?

D.P. No, non è stata ancora inaugurata. L’inaugurazione doveva essere oggi, ma hanno deciso di rimandare al mese prossimo! È la mia prima esperienza di un progetto realizzato in Italia. Questa piazza è un progetto importante per la comunità perchè è come se fosse uno spazio nuovo, mai esistito prima, e in effetti è così! In sostanza il progetto si propone di organizzare uno spazio piatto perchè sia accessibile e fruibile da tutti, da tutte le persone che vivono la città cioè non è un progetto di furniture design con molti alberi. No, c’è semplicemente uno spazio bianco con qualche albero, piatto. C’è una chiesa che è un tappeto verticale, bianco, di marmo, e c’è il tappeto bianco, di marmo, orizzontale della piazza. All’inizio, circa un anno fa, la gente protestava e si lamentava con me di questo progetto. Ora che l’hanno visto realizzato mi acclamano e mi dicono che è fantastico. Ieri mi hanno persino offerto un caffè! Ma questo è normale ovunque … Sono molto contento di averlo fatto, devo ammettere. Uno spazio pubblico per la gente, una grande piazza di 11.000 metri quadrati che tra le altre cose rende più sopportabili anche le brutte architetture degli anni cinquanta che sono intorno. E poi, ancora una volta, aver concentrato l’attenzione su un vuoto, su uno spazio aperto che attrae l’attenzione, si è rivelata un’ottima strategia.

D.M. Ancora una volta la Bibliotèque e i chiostri … !

D.P. Esatto !

D.M. So che viene spesso a Milano. Posso chiederle qual è l’edificio che apprezza di più?

D.P. Certamente! È sicuramente l’edificio di Giò Ponti a piazza Moscova, in marmo, elegante, perfetto, aristocratico …

D.M. Il migliore architetto italiano? Chi conosce?

D.P. È difficile dirlo perchè i due architetti che conosco meglio vengono dalla Francia! È un pò strano… conosco personalmente sia Renzo Piano che Massimiliano Fuksas … Massimiliano in particolare perchè é vicino alla mia generazione.

D.M. E Jean Nouvel?

D.P. Jean appartiene alla generazione precedente alla mia, ma la gente non capisce che questo crea una forte differenza ! Vedi, la mia situazione è un pò strana, io sono più giovane di Jean di dieci anni, ma poi vengo accomunato a lui senza troppe distinzioni: l’architettura francese? Dominique Perrault e Jean Nouvel! Ovviamente Jean ed io siamo amici e lui è per me un importante punto di riferimento, ma lui lavora moltissimo con le commissioni private mentre io ho fatto molte più esperienze progettuali con la committenza pubblica, che è molto più complesso. Non so dirti perchè ma è accaduto così!

D.M. Per concludere, esporrà qualche progetto alla prossima Biennale?

D.P. Certo! Non nel padiglione Francese ovviamente, perchè sarà destinato ad esibire progetti che riguardano la sostenibilità. Esporremo due o tre progetti, forse Las Teresitas e il Mariinsky. Vorremmo presentarli non con plastici o tavole ma con dei video. Sarà sicuramente una bella esperienza.

Daniele Mancini D.M.
Dominique Perrault D.P.

Mercoledì 14 Aprile 2004, ore 11.00 – 12.00
Carlton Hotel Baglioni, Via Senato 5 Milano

Questa intervista e’ pubblicata insieme ad altri scritti su:

Daniele Mancini (2007), Dominique Perrault. La seconda natura dell’architettura, Milano: postmedia
http://www.postmediabooks.it/2007/32perrault/perrault.htm

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